venerdì 25 agosto 2017

Mamma

Quando mi sono trasferita qua, nelle Marche, ero molto consapevole. Convinta. L'ho fatto per amore e per tutta una serie di ragioni più prosaiche ma ugualmente importanti come il fatto che le case e la vita costassero molto meno qua che in città, che mio marito avesse un buon posto di lavoro che forse non sarebbe stato facile ritrovare da me in tempi brevi e alle stesse condizioni, che la sua professione si svolgesse in fabbrica, quindi in aree lontane da Firenze città con conseguenti scelte da fare (vivere in città e andare a lavorare nelle zone limitrofe o vivere fuori città, vicino  al lavoro, ma avere tutto il resto là dentro?)
Certo, non è stato facile lasciare la famiglia, la casa, le amiche di una vita, i miei luoghi, gli orizzonti e abituarsi a vivere tutto da un'altra parte.
Ma lo volevo ed ero sicura.
E tranquilla anche perché i miei genitori erano relativamente giovani, relativamente in salute e senza sostanziali problemi di natura economica.
Mai avrei pensato che ci saremmo ritrovati in questa situazione.



Ho già raccontato in un post cosa è successo, non starò a dire di più, un po' perché non riguarda direttamente e solo me e non voglio urtare la sensibilità di nessuno, un po' perché non è una situazione facile da raccontare, cioè da spiegare a qualcuno che ne è esterno, che non l'ha mai vista; può risultare eccessiva, poco credibile e forse anche un po' strana, perché mia madre non ha una di quelle malattie facilmente etichettabili e quindi comprensibili a chiunque...se avesse, per dire, avuto un infarto, la stragrande maggioranza delle persone che legge o mi ascolta raccontare, saprebbe inquadrare tutta la situazione da sé.
Ma se dico depressione, perché di questo si tratta, risulta molto più complicato spiegarsi bene ed essere compresi perché la maledetta purtroppo innesca tutta una serie di meccanismi che sono facilmente comprensibili solo per chi l'ha vissuta direttamente o di riflesso.
Non lo dico per spocchia, per senso di superiorità o perché "non puoi parlare di una cosa se non l'hai provata", ma perché mi è capitato tante volte di raccontare episodi, sintomi, vicende, comportamenti riguardanti mia madre a delle persone e ho visto sui loro visi una espressione di pura incredulità, di incapacità a figurarsi quanto stavo dicendo.
E so che è normale.
Di nuovo rispetto al post che ho scritto mesi fa, c'è che la situazione della mamma si è ulteriormente, progressivamente aggravata mentre quella logistica è rimasta invariata.
Dal mio punto di vista questo è sbagliato, insufficiente, un gran casino. Principalmente per loro che vivono una situazione molto, molto disagevole.
Abbiamo cercato di far cambiare loro idea, ma per tutta una serie di motivi, non ci siamo riusciti.
Io sono naturalmente preoccupata perché stanno per 12 ore al giorno completamente soli e credetemi, non sarebbe proprio più il caso.
Posso fare poco perché sono lontana e ho altri impedimentucci per cui non posso neanche essere lì quanto vorrei e, in certa misura, potrei esserci.
E poi provo un grande rabbioso dolore.
Perché non posso aiutarla in nessun modo e ho fatto veramente di tutto.
Perché sono anni che è come se io mia madre non ce l'avessi più, anche se c'è. È una sensazione terribile non poter parlare con lei, confidarsi, chiedere consiglio per affrontare, risolvere, superare un problema, grande o piccolo. Ora poi parlare è diventato impossibile perché la voce non le esce quasi più, quindi il telefono è escluso. E anche quando sono con lei e provo a parlarle mi sembra sempre persa in una sua dimensione e, se affronto un argomento più serio, come la sua salute, guarda fisso davanti a sé e piange lacrime silenziose...
Perché, come ho già detto, mia madre non ha mai trovato una motivazione valida, pungolante, per curarsi davvero. 
Io fino ad una certa età, non mi sono accorta di questo suo problema, probabilmente perché ero piccina e non lo vedevo, forse perché lei riusciva a gestirlo meglio ed era meno evidente.
Ma nell'ultimo anno, nel quale la situazione già particolare è precipitata, ho guardato indietro e ripercorso molto della nostra storia familiare; so da dove le nasce tutto questo. 
E so che purtroppo non ha mai trovato la forza, la motivazione giusta per curarsi.
Non lo siamo stati neanche noi figli. Come non lo è stato mio padre, o i nipoti, o la vita.
Lo so che non è un "dispetto " ad personam, ma da figlia, anche adulta, guardare indietro e sentire di non essere stata abbastanza, una molla sufficiente, un amore motivante per curarsi e stare meglio lei e tutti noi con lei, fa male, ti fa sentire piccina, senza importanza, una nullità, senza funzione, senza scopo.
E questo, a pensarci bene, può spiegare alcune fragilità, certe insicurezze che io ho praticamente da sempre.
E in tutto questo c'è la mia vita.
Non pensiate che io sia triste o che stia male tutto il giorno. Non è così. Io stessa a volte mi meraviglio perché faccio tutto quello che devo, vivo normalmente, mi sento bene, forte, tranquilla. Mentre mi sarei aspettata di entrare in ansia, in paranoia costante.
E invece no. E forse è un bene.
Ma il pensiero c'è.
Di aver fatto quello che potevo.
Senza smettere di proteggere me stessa.
E mio figlio, che un pomeriggio, quando andava alla medie, così, di punto in bianco, venne in cucina con un libro in mano per ripetermi un pezzo di orale, e mi disse: "Ma te, non diventi mica come la nonna, vero?"


mercoledì 23 agosto 2017

Questa estate

Ho sempre amato l'estate, fin da bambina, da che ho memoria.

Amo tutto: la luce, i colori, le giornate infinite, il calore. Anche il caldo perché, a parte qualche anno come questo, dura abbastanza poco. E in ogni caso lo reggo bene.

E poi ci sono giornate come queste, di questa settimana, che rasentano la perfezione: l'aria fresca la mattina e la sera, le temperature sotto i 30° C anche sul mezzo del giorno, il sole caldo che permette ancora di andare al mare, di asciugare i panni stesi, di godere...il venticello asciutto...la luce e i colori che già dicono settembre, caldi, morbidi, avvolgenti, da guardare a occhi non più serrati per il troppo riverbero, ma aperti, a riempirsi di tutto, a inondarsi, a fare scorta.

Il "giro" del sole è già cambiato, resta di meno in camera e crea una luce tutta particolare.

Queste giornate mi risvegliano, nel corpo e nella mente, mi sembrano la promessa di cose nuove, di nuovi inizi, di energia, di propositi, di piani, di progetti, di desideri rinnovati.

Ne ho tanti. Non tutti realizzabili, alcuni tanto desiderati da non avere neanche il coraggio di dirli.

E io sento quella cosa qui, fra la bocca dello stomaco e il cuore, una specie di pizzicorino.

Buffo, provavo una sensazione molto simile nel momento esatto in cui mi siedevo davanti al professore in sede di esame all'università...

In queste giornate così mi viene voglia di andare, uscire, visitare, vedere luoghi e persone, respirare, sperimentare, conoscere cose nuove...

Quando non posso farlo dirigo tutto questo furore energico alla cura e pulizia della casa, delle cose, delle persone che ci sono dentro.

A cominciare da me...



Ho riempito la camera del mio profumo preferito.

Chi è contrario, apra la finestra!! 

Piripìì😜😜😜😬👃🏻👃🏻

martedì 22 agosto 2017

Basta




Basta preoccuparsi per niente e fasciarsi la testa prima di essersela rotta.

Basta combattere contro i mulini a vento.

Basta volere cose che sono impossibili.

Basta essere schiavi di cose futili.

Basta far finta, basta illudersi perché le persone non cambiano, neanche per amore. Figuriamoci se questo neanche c'è.

Basta con chi fa i giochini e non è sincero anche se dice di esserlo e se lo chiedi espressamente, a qualsiasi costo. Ma niente.

Basta con chi gioca con i tuoi sentimenti, li usa, ci si diverte e poi, quando si stufa o trova qualcosa di meglio, ci scaracchia sopra e ci passa pure la suola delle scarpe. Così, che non si sa mai.

Basta con chi ti cerca solo quando gli fa comodo o non ha altro o di meglio da fare o per le mani. (E te lo fa capire pure!) O ti dice che non ha mai tempo. Sottinteso per te.

Basta con chi ti lecca il culo e appena volti le spalle ti pugnala e dice peste e corna di te.

Basta con chi ti dà per scontato. Non siamo a saldo, ma sempre a prezzo intero, anche se di seconda mano.

Basta con chi con te si lamenta sempre e piange e si rammarica e con gli altri è sempre felice come una Pasqua. O recita con loro o con te. O forse con entrambi. Secondo necessità.

Basta con chi chiede e non dà mai. Non importa cosa o quanto grande o quanto importante.

Basta con chi ti fa credere ciò che non è e sarebbe ciò di cui più avresti bisogno.

Basta con chi non risponde alle tue domande, fa finta di non vedere, non leggere, non sentire e comunque fa a rimpiattino.

Basta con l'invidia, la maldicenza, il rancore.

Basta far ricadere sugli altri le conseguenze dei propri problemi. Ognuno di noi ha un vissuto, a volte problematico, traumatico, ma andrebbe risolto, non fatto scontare agli altri. Che già si arrabattano col loro.

Basta con chi ti vede solo come un involucro e non sa che farsene di tutte le pietre rare e preziose e gigantesche che ci sono dentro di te.

Basta con chi ti vuole a percentuale, a scartamento ridotto, a giorni alterni.

Via sfrondare. Basta.

Basta, perché la vita è un morso.

E io voglio tutto il boccone che può entrarmi in bocca.

Basta briciole.

Basta sprechi.

Che mi fanno contrarre il cuore.



A volte le perdo di vista tutte queste cose e mi faccio male da me.

Poi capitano cose che sono come un manrovescio assestato bene.

Ecco, oggi è la giornata giusta.

E sappiamo tutti perché.

#lavitaèuna


lunedì 21 agosto 2017

Zanzariere




Da bambina credevo che le zanzariere scorrevoli fungessero anche da barriera anti intrusione...ricordo benissimo la sensazione che provai quando capii che bastava spingerle un po' per metterle fuori uso...ieri ho provato lo stesso stupore, il senso di vertigine e smarrimento, quel coso nello stomaco quando si fa un dosso con la macchina, quando ho capito che i fatti sono fatti e che certi, per quanto io possa fare  e provare, considerando il considerabile, comprendendo il comprensibile e scusando più dello scusabile, non riesco a viverli serenamente. Sopratutto per il fatto che, in merito ad essi sento, e potrei sbagliarmi, e purtroppo vedo, e non mi sbaglio, parecchia esperta furberia e bugiardaggine.
E questo ha creato in me una gran rabbia che da bambina non si aggiunse a tutte le altre sensazioni perché mi ero sbagliata io, le zanzariere non mi avevano ingannato, erano sempre state se stesse.
Stavolta è andata un po' diversamente.
Detto questo oggi è un altro giorno, io sto benone al mare col mio ragazzone e quel che non mi strozza, mi ingrassa.
Perdonate se sono un po' ermetica ma non sempre si può dire tutto.  Sono convinta che capite lo stesso lo stato d'animo, sarà capitato a più di uno fra voi...ne sono piuttosto certa!

sabato 12 agosto 2017

Plumcake con scaglie di cioccolato fondente

Metti un sabato di mezz'agosto.
Metti il vento fresco e le nuvole cariche di pioggia e i tuoni in avvicinamento che promettono di rimescolare e finalmente rinfrescare l'aria.
Metti lo stravolgimento dei normali ritmi del weekend che in questa stagione prevedono il sabato pomeriggio al mare.
Metti il freezer quasi sprovvisto di scorte di dolci visto che sono settimane che non accendo il forno date le temperature altissime e l'esigua metratura del mio cucinino.
Il gioco è presto fatto!
Un po' per necessità, un po' per consolazione ho deciso di fare un dolcino con l'unica cosa che avevo in dispensa cioè una tavoletta di cioccolato fondente.

L'ho fatto a occhi chiusi secondo la mia collaudatissima ricetta.
Si montano due uova medie con 110 gr di zucchero metà bianco e metà di canna, poi quando il tutto è spumoso si uniscono 60 gr di burro fuso insieme a 60 ml di latte. Si aggiungono 220 gr di farina 00 setacciata con 1/2 bustina di lievito e mezzo cucchiaino di bicarbonato di sodio, si mescola bene e si unisce una puntina di zucchero. Se il composto è troppo denso si versa del latte fino a ottenere la giusta consistenza. Poi si sminuzza col coltello circa mezza tavoletta di cioccolato fondente, si unisce al composto e si trasferisce il tutto in una teglia da plumcake rivestito di carta forno e si cuoce per circa mezz'ora a 180ºC in forno già caldo.




giovedì 3 agosto 2017

Voglio





Voglio cose che non sono possibili.
Almeno, non come le vorrei io.
Voglio essere la Principessa, sì, anche se non va più di moda ed è da donna poco emancipata.
E infatti, non è possibile.
Voglio essere tutto per qualcuno o almeno abbastanza.
E invece non è possibile.
Almeno, non come lo vorrei io.
Voglio essere l'Unica, voglio essere guardata con quegli occhi che non vedono nessun altra, che non conoscono distrazione, che non si soffermano a guardare centimetri di pelle che non sia mia.
E invece non è possibile.
Almeno. Non come lo vorrei io.
Voglio essere quella che sono, con le mie opinioni, i modi di essere, il carattere, la sensibilità, le paturnie, le montagne russe emotive, le paure, i nodi, le fragilità, i nervi scoperti, senza dovermi sempre adattare, limare, smussare, smollare, togliere rigidità, aprirmi, cambiare.
E invece non è possibile.
Almeno, non come lo vorrei io.



domenica 30 luglio 2017

Un amore per sempre

Anche se sono quasi 14 anni che non c'è più, non passa giorno che il nonno Mario non sia con me. Lo ricordo spontaneamente, senza neanche pensarlo, per un'infinità di piccoli, quotidiani motivi. È in tante cose che vedo, che faccio. Che sono.

La leggenda familiare narra che, accompagnando lui mia madre in maternità perché mio padre non poteva guidare a causa di una periartrite alla spalla, abbia detto, fra il serio e il faceto, alla povera, giovanissima primipara: "E se non fai una femmina, non t'azzardare a tornare a casa!"

Voleva una nipote femmina. Ha avuto me. Che alla nascita dovevo essere bruttina: niente colorito roseo, gracile (2,6kg), peli neri sul dorso delle mani e sulla schiena.

Insomma, la figlia di Fantozzi!

Eppure lui mi ha venerata da subito, ha fatto di me il centro della sua vita, l'oggetto del suo amore incondizionato e senza fine, il Motore immobile che muoveva tutto il resto

Ho passato tantissimo tempo con lui nella fanciullezza e nella prima adolescenza e questo ha lasciato un'impronta indelebile in me, viva ancora oggi, e ha reso fortissimo il legame che c'era fra noi. 

Mi portava dappertutto, fin da piccolissima, a piedi, in autobus, in centro a farmi conoscere la città, a rimirarla, a riempirmi di orgoglio per essere nata proprio lì, dai tappezzieri cui riforniva i materiali, in banca, a far la spesa.

Ogni uscita con lui era una gioia, un'avventura, ero sempre eccitata, sceglievo sempre vestitini carini, sapevo che mi sarei divertita, che non mi sarei annoiata a camminare con lui, stretta alla sua mano, le gambine veloci per stare dietro al ritmo del suo fierissimo passo. Volavo appesa alla sua mano. Un volo leggero, meraviglioso, sicuro, pieno di meravigliose scoperte. Questa è l'immagine che conservo del mio tempo bambino con lui...i passatempi, i giochi di parole, i castelli di sabbia con tutti i pinnacoli, gli interminabili bagni in mare, le ore in cantina a piantar chiodi mentre lui restaurava mobili o ne costruiva di nuovi, l'incanto e la soggezione mentre me ne stavo attaccata alle sue gambe, il manubrio della carrozzina a  quadretti bianchi e blu con la bambola dentro serrato nella mia manina, nella meravigliosa sede della Cassa di Risparmio di Firenze in via Bufalini, quell'odore che c'era lì, le scale a vista, il soppalco che mi sembrava sospeso in aria, il soffitto, le impiegate vestite con cura ed eleganza.

Non usciva mai senza giacchetta, il nonno, neanche in piena estate. I pantaloni corti solo al mare, mai in città. Mai. Aveva sempre una bustina della spesa perfettamente e meticolosamente ripiegata in tasca, non usava il borsello ma una sorta di busta porta documenti chiusa su un lato e mezzo da una cerniera d'argento.

Ogni anno, dal 1 al 15 luglio io e mio fratello stavamo con i nonni al mare, spiaggia a Viareggio, casa in affitto al Lido di Camaiore. 

Le 6:30, un cucinino piccino picciò, la moka sul fuoco, io che mi metto lo smalto bianco perlato sulle unghie delle mani, lui che riempie le caselle del cruciverba con lettere sottili e perfette, dal transistor acceso ci culla, con voce rassicurante, intervallata a lunghe pause di silenzio, il bollettino del mare con gli avvisi ai naviganti...



E poi sulla spiaggia, mentre la nonna faceva una mezz'ora di bagno di sole per curare la spina, come diceva lei, noi si leggeva il giornale, che mi facevo piegare da lui, abilissimo ad eludere le folate di maestrale, vicini vicini, anche se sul lettino c'era molto posto.

Ero io che lo seguivo come un'ombra, che mi appoggiavo alla sua schiena, SICURA che non si sarebbe MAI spostato...

Niente, resto della convinzione che ho già espresso: nessuno mi amerà mai più di lui...con quella luce, quello sguardo adorante negli occhi...

mercoledì 28 giugno 2017

Quella finestra



Dopo mesi è quasi pronta. Ogni volta che ci passo spero che il vicino semaforo si faccia rosso per poter guardare questa finestra di cui mi sono da settimane follemente innamorata. Che da settimane mi chiama per essere guardata e farmi immaginare. Che lei si apra sul mare, quello che si fa d'argento con le luci del primo mattino, che apra sul mondo e protegga una camera, con un letto dalla testata imbottita chiara, con le lenzuola vissute, stropicciate, ammonticchiate, rincincignate, chiare, messo in modo che stando su di esso quei due possano vedere il mare che scintilla nel mattino, mentre bevono il caffè, lasciano qua e là briciole di biscotti sbocconcellati per ritrovare un po' di energia, mentre chiacchierano fitto e si raccontano e si annusano e non sprecano neanche un secondo di quel tempo che possono finalmente passare insieme, mentre i loro corpi si ritrovano e si riconoscono e seguono, liberi, quella magia chimica che da sempre li fa riconoscere e volere e creare fra quei due qualcosa che non si sa se sia sesso o amore. Per chi dei due sia una cosa, per chi l'altra. O se sia la stessa per entrambi...forse lo hanno detto al mare mentre si amavano e bisognerebbe chiederlo a lui…
Perché quei due provano qualcosa di vero, non è suggestione, è reale, ma è altrettanto difficile, complicato, sconnesso, accidentato da vivere…si avvicinano tanto, poi si allontanano molto e si riavvicinano ancora di più, come un elastico che si accorcia, si stende e si riaccorcia di nuovo…
Ma si parlano sempre, si raccontano l'un l'altra, sinceri: è il loro patto.
E non so come andrà a finire.
Ma una preferenza ce l'avrei.
E chi mi conosce un po', di certo la sa.

Ecco tutto questo perché:
A- le finestre mi hanno sempre spinta a immaginare cosa ci sia all'interno di quella casa, le persone che la abitano, le loro vite. È una cosa che faccio fin da ragazzina e non mi lascerà mai, probabilmente. 
B- in queste notti di caldo sono costretta, non per mia scelta, a stare con le tapparelle tutte su. E io ho paura che entri qualcuno. E non dormo. E se non dormo penso. Scrivendo. Nella mente o anche sul serio. Peggio per voi!!
C- (ma solo in ordine casuale perché per me è A) amo l'amore e  la sessualità. Sono abbastanza grande, leggi vecchia, per apprezzare il benessere che viene dai corpi che si incontrano e per sapere che il sesso e l'amore spesso non vanno a braccetto.
Ma continuo a preferire che il sesso esprima almeno una certa affettuosità fra quelle due persone.
Un sentimento che comunque le lega.
Se proprio l'amore sembrasse troppo o fosse già stato vissuto e consumato o rimasto sospeso altrove…

Vabbè, riparto. È scattato il verde e quello dietro a me si è attaccato al clacson 

giovedì 22 giugno 2017

Torneranno gli angeli

La prima casa, quella nella quale sono cresciuta e ho vissuto per 24 anni, era in centro storico, a Firenze. Via Laura 20. Al piano terra di un palazzo antico che il nonno Mario mi diceva risalisse al '700, i cui spessi muri erano fatti anche di pietre d'Arno con le quali, durante lavori di emergenza o miglioria, a volte non poteva niente neanche il martello pneumatico.
Il nonno amava molto quella casa che da affittuario era riuscito ad acquistare devastata e mal ridotta dopo l'alluvione del '66. Ci aveva lavorato tanto. Ma era SUA.
L'ho molto amata anche io nonostante avesse degli evidenti diffetti: soffitti altissimi, un freddo becco di inverno, impossibile da scaldare, infissi costosi da mantenere e sostituire, umidità che ogni tanto veniva fuori, piuttosto buia. 
Ma per me era una casa bellissima, aveva tutto quello che serviva. E probabilmente quel tutto non erano cose.
La cosa che mi affascinava di quella casa erano i suoi 4 corridoi che si susseguivano ad angolo retto, uno dopo l'altro.
In fondo, uno dentro l'altro, il tinello, il cucinotto e un ultimo stanzino da cui si accedeva al giardino.
Quello è sempre stato il centro della casa, sopratutto nelle ore del giorno e in particolare per me, per ovvi motivi, nei mesi estivi.
Il nonno si alzava ogni mattina alle 6; dalla sua stanza, vicina alla porta di ingresso, senza accendere una luce, ma munito di torcia a batteria, percorreva i 4 corridoi, andava in cucina, accendeva il suo transitor, caricava la napoletana prima, la moka poi e ascoltando il gr, le previsioni e gli avvisi ai naviganti, la cosa che adoravo in assoluto di più, aspettava il caffè che poi portava agli adulti. A letto. Da un certo punto in poi, anche a me.
Dopo ognuno di noi si preparava secondo incastri rodati e perfetti, avvicendandosi fra i due bagni, uno solo dei quali dotato di wc, e la cucina per fare colazione.
Io ero l'ultima perché quella che meno di tutti si sarebbe allontanata da casa, visto che il liceo Michelangelo era nella strada parallela a via Laura.
Tinello e cucinotto non erano belli, neanche comodi, non avevano mobili moderni che il nonno, restauratore da giovanotto, aborriva. Ma quel mobilio aveva carattere.
Aveva un'impronta. La sua. Alcuni pezzi li aveva realizzati lui, come un tavolino rettangolare, non troppo grande, a due ripiani, posizionato sotto la finestra del tinello che si apriva sul giardino. Non ci si appoggiava niente di che: un centro, scelto dalla nonna e sopra la radio mangianastri acquistata da mio padre che ha sempre avuto una passione per la tecnologia e la musica.
Ogni mattina negli anni del ginnasio e del liceo andavo in cucina, la nonna mi faceva trovare pronta la mia colazione, cioè ai tempi una tazza di caffellatte.
Con quella fra le mani, mi mettevo davanti al tavolino, azionavo il mangianastri occupato perennemente dalla mia cassetta, facevo andare avanti o indietro, fino a veder comparire il numerino giusto nel contatore girevole, alzavo il volume al massimo e iniziavo a sorseggiare il caffellatte. A volte cantavo a squarciagola. Ma più spesso osservavo fuori, guardavo il cielo, le finestre d i vicini, le piante in giardino, a volte aprivo la finestra. Ripensavo alla fatica del pomeriggio prima per studiare tutto, mi ricaricavo per affrontare le ore di scuole, i compiti in classe, le interrogazioni.
Entravo in contatto con me stessa.
E mi ascoltavo.
È una cosa che ho sempre fatto, allora in modo totalmente istintivo.
E quella era la mia canzone.
Non so dire perché.
Mi dava un senso di libertà, di forza, di speranza, di apertura (angeli, allegria, deltaplano, arcipelaghi, mari senza limiti) e poi quell'immagine che io costruivo ogni mattina nella testa, con lo sguardo perso fuori..."Torneranno gli angeli
tra i lenzuoli tiepidi
mi amerai
come fosse un' avventura
giocheremo a illuderci
svaniranno gli incubi
sorridimi
vivi e non aver paura"
Questi versi mi intrigavano un casino, ma non li cantavo mai ad alta voce perché i nonni erano lì e mi sembravano troppo spinti per essere pronunciati in loro presenza...
Ah, i nonni...io lo so che mi hanno adorata e che sapevano tutto di me. Tutto. Anche se io non lo sapevo. Non sfuggiva niente di me ai loro occhi, al loro cuore, agli orecchi, niente. Nemmeno la cosa più piccola e banale.
Se infatti, per un qualsiasi motivo un giorno non facevo partire il nastro il nonno subito mi diceva: "Ciuci, niente angeli stamattina?"
Il nonno è stato l'uomo della mia vita. So che mio padre non si offende se lo dico, perché lo ha avuto come babbo. E quindi sa cosa intendo.
Io sono fatta di quel suo amore, del modo che aveva di amarmi e di accompagnarmi e di proteggermi e di incoraggiarmi e di insegnarmi le cose e di farmi osservare la realtà e di farmi sentire capace di tutto. L'ho capito quando mi dette quel pezzo di legno, il martello e la scatolina dei chiodi. Puoi piantarci tutti quelli che vuoi, mi disse, puoi usare la pialla, le tenaglie, fare i buchi con i succhielli (cavolo quanto mi piacevano).
Basta che mi chiedi aiuto se non riesci o non sai come si fa. La frase della vita.
Lo so, lo standard è alto.
E forse nessun altro mi ha mai amata così.
Ma io quell'amore lo sento ancora dentro di me, intatto, come allora, come quando ero una bambina eccitata, orgogliosa, al settimo cielo, appesa alla sua mano, con le gambette svelte per stare dietro al suo gagliardissimo passo, in giro per le vie della nostra amata Firenze.
"Non guardare per terra, Ciuci, guarda sempre in alto, sennò, tu ti perdi i' meglio!!"





...Torneranno gli angeli
a sfiorarci l'anima
l'allegria
sapra' tenerci per la mano...

I miei angeli non hanno bisogno di ritornare, perché non se ne sono mai andati!


martedì 23 maggio 2017

Amori

Il primo amore non si scorda mai, sentivo dire da bambina. Facevo spallucce e pensavo, sì, stai a vedere...stai a vedere che è vero, dico ora, a una manciata di settimane dai 46 anni!
Io me lo ricordo eccome il mio primo (vero) amore.
Spesso.
Senza neanche evocarlo. 
Viene a trovarmi da sé con le cose che penso, sento, vedo, incrocio, ascolto nella vita di tutti i giorni.
Quando affronto una curva e mi vengono in mente le sue parole per insegnarmi a guidare bene.
Quando frigno per ogni piccola cosa, bella o brutta, basta che sfiori il mio cuore, e penso che nessun soprannome mi calzerà mai più a pennello di quello che lui coniò per me, Cipolle In Tasca, la sua piccola squaw. 
Piccola sul serio visto che era alto circa 30 cm più di me.
Quando sento dire Facoltà di ingegneria.
Quando sento una canzoni degli U2, in particolare One Love.
O quando come stamani lo shuffle mi fa ascoltare questa canzone che mi porta mille dolcissimi ricordi...
https://m.youtube.com/watch?v=Hiz9iFlYKX8



E poi, dopo qualche minuto scorrendo IG mi sono accorta che Simona aka @simoelamini_me  (http://instagram.com/simoelamini_me) aveva pubblicato una foto con l'incipit di quel brano di Lorenzo...



E i ricordi sono tornati...fortissimi, dolci, vivi, un po' impepati anche, amari...perché ovviamente finì, senza terzi incomodi, senza litigi, semplicemente perché andavamo a due velocità diverse, io pronta a vent'anni per qualcosa di serio, lui con dei nodi suoi, di un certo peso, da sciogliere.
Fu dura da accettare anche perché ci s'era messa dentro anche mia madre, obbligandomi, in un certo senso, così a viverla più seriamente più pesantemente di quello che sarebbe stato necessario. Forse, se non le avessi mai raccontato niente, io e la mia boccuccia che non tiene mai neanche il semolino, io e il mio bisogno di raccontare tutto, l'avrei superata in fretta. Fisiologicamente, come si fa a vent'anni.
Pensavo che non avrei mai più sofferto così. Lo pensiamo tutti in giovane età e alla fine della prima storia di un certo peso.
Poi, forse, sarà anche peggio.
In questi giorni, dopo aver ascoltato lo sfogo di quella amica, di cui ho già parlato, c'ho pensato e ci sto pensando molto...all'amore, voglio dire...a quanto sia fragile e complicato e naturalmente irrinunciabile. Non esiste vita senza amore, secondo me.
Più che altro, oggi come non mai, penso che sia necessario avere rispetto per l'altro...le parole hanno un senso, un valore, un significato. Sono un pegno. Come i gesti, le premure, la presenza, i doni.
Andrebbero "fatte" tutte queste cose perché si sentono davvero, ricordandosi sempre che chi le riceve attribuisce ad esse un valore enorme.
E se nel corso della storia qualcosa cambia bisognerebbe avere il coraggio di dirlo subito invece che far finta di niente e andare avanti come se nulla fosse iniziando così a ingannare l'altro, perché di questo si tratta, che pian piano percepirà, capirà, tirerà fuori il problema e magari finirà per sentirsi dire eh, sai, mi dispiace, ma ho capito che non riuscivo ad andare avanti come prima. E per il tempo intercorso fra il momento in cui lo hai capito e quello in cui lo hai detto chiaro, come la mettiamo??
Ci vorrebbe questo coraggio quando non si hanno più vent'anni.
Però, che volete pretendere???
È la vita, vi dirà qualcuno. Certo. Sarà. Però certi soggetti ci mettono sopra il loro bel carico!

venerdì 19 maggio 2017

Lascia che sia


È stato un periodo difficile, complicato, doloroso. Uso il passato prossimo perché ne sto uscendo. Ci vorrà pazienza e ci saranno delle ricadute, dei passi indietro, lo so, ma ho fatto un lungo lavoro su me stessa, ho capito cose che prima non riuscivo a vedere. O non volevo vedere. Ho dato il giusto peso a cose, persone e situazioni, ho capito di che pasta qualcuno è fatto, so per cosa/chi devo spendermi.
Sopratutto ho imparato a lasciar andare le cose che non posso cambiare, controllare, sulle quali non ho potere alcuno. Capita nella vita, e tu non puoi farci nulla, anche se riguarda te, anche se coinvolge te, anche se ci sei dentro fino al collo o sopra i capelli.
Perché non dipende da te. 
Ma da qualcun altro. 
E lì è inutile resistere, insistere, puntare i piedi. 
Non succederà quello che desideri tu. 
Mai.
O mai più. 
E se insisti, soccombi tu. Sicché...
A un certo punto si deve lasciar andare, mollare, far sì che le cose, i rapporti facciano il loro corso. Che vadano come devono andare.
Non è una sconfitta ma conservazione di sé con tutto ciò che questo implica, tipo salute fisica e mentale, dignità, gioia di vivere, tentativo di non perdere tutto ciò che la vita ancora riserva...(dicesi futuro!)
Ringrazio chi mi ha ascoltato, aiutato, tirato fuori o semplicemente si è sorbito i miei sfoghi qui o di là (FB e/o IG).
Mi siete stati tutti di immenso aiuto, spesso inconsapevolmente. 
E di questo vi ringrazio.

lunedì 15 maggio 2017

Quell'equilibrio

                            foto dal web


Quando ti trasferisci in una nuova città da adulto, non è facile fare nuove amicizie. Non è colpa dell'essere esigenti, del posto, delle persone, della mentalità più o meno chiusa...è che gli altri hanno le loro vite, i lori impegni, i ritmi, le abitudini e non è facile inserirsi, costruire quella che per me è una amicizia vera.
A Castelbellino e dintorni ho diverse conoscenze, alcune davvero buone, persone alle quali so che mi potrei rivolgere se mi trovassi in difficoltà.
Ma non ho una vera amica. Credo non si offenda nessuno se dico questo. La mia amica sta a Firenze. E lei sa tutto di me.
Qualche  giorno fa, una donna un po' più giovane di me, che io avrei definito una conoscente, mi ha invitato a prendere un caffè per parlarmi un po'. E mi ha confidato tutto d'un fiato la storia d'amore che ha vissuto in questi mesi, appena finita, tristemente per lei.
Mi sono inizialmente stupita...non me lo aspettavo, che riponesse tanta fiducia in me...ma tu Lu, mi ha detto, sai ascoltare e sei sensibile.
Ha ragione, è da sempre la mia croce e delizia...le vite degli altri non mi lasciano mai indifferente, le cose belle e brutte che capitano agli altri mi entrano dentro, vanno in risonanza col mio cuore e la mia testa, le sento sulla pelle, inizio a compatire, in senso etimologico, gioisco e soffro. E penso, ripenso, rifletto...ascolto e cerco di aiutare, se posso.
Tornando a questa donna, non racconterò troppo, per discrezione ovviamente, ma ci sono cose che mi ha raccontato che mi hanno profondamente colpita e intristita (non ti bastano le tue di gatte da pelare, mi chiederà qualcuno?) e fatta riflettere. 
Sul lasciarsi andare, sui nostri meccanismi mentali, sul fidarsi di e affidarsi a qualcuno, completamente, senza riserve, nudi, indifesi, senza schermi...sulle capacità del nostro intuito, sugli scherzi che possono farci la nostra razionalità, il nostro cuore, la nostra parte più fisica e animale...sui bisogni interiori che pensiamo di avere, su quelli che ignoriamo e invece abbiamo...sulla doppiezza e la poca trasparenza degli altri, sull'opportunismo, l'egoismo cattivo, il contrattaccare se messi di fronte alle proprie colpe, lo sparire, il sottrarsi, l'evitare il confronto, lo sgattaiolare, il dire mi dispiace, come se questo bastasse a cancellare tutto, a dare una ripulita, ad alleggerire la coscienza, a continuare a fare la propria vita mentre l'altro, l'altra in questo caso, è sostanzialmente distrutto, solo, triste e disorientato perché è stato scaricato budubuuummm, come la legna dal camioncino in inverno, perché non si fida nemmeno più di se stesso, delle proprie sensazioni, della propria capacità di ragionamento e si sente solo sciocco, stupido, ridicolo, ingenuo, pieno di nostalgia e rimpianti. E rabbia verso di sé. Prima ancora che verso l'altro.
Non ne faccio una questione di genere...so che tutti uomini e donne provano questo dolore. O sono abbastanza stronzi da infliggerlo prima o poi o più volte, nella loro vita.
"Avevo un equilibrio, mi ha detto. Mi mancavano un sacco di cose. Ma io non lo sapevo e credevo di essere in equilibrio. Poi a un tratto, per caso, le ho trovate tutte queste cose e pensavo a chi mi diceva, non ti devi accontentare, devi volere di più, prendere le cose che vuoi e al tempo stesso mi dicevo, vacci piano, non le prendere tutte insieme, non sono tue. Ma mi piacevano così tanto e mi facevano stare così bene e mi venivano offerte con tanta generosità e affetto e forse anche amore che me le sono prese tutte. E ho goduto per un po'. Poi come le ho trovate queste cose, me le hanno tolte, senza che io potessi farci niente, perché non erano mie, non potevo decidere io.
E io ora vorrei solo poter trovare un po' di pace e rassegnazione e tornare indietro e riavere indietro quell'equilibrio che avevo. Ma vai a riprenderlo ora, se ti riesce."
E non ho saputo cosa rispondere a lei e a quel dolore smarrito che mi faceva l'eco dentro...quel giorno l'ho solo ascoltata in silenzio.
Ma ci ho pensato a lungo, a più riprese e mi sono sentita triste per lei, incapace di aiutarla.
Ora, a distanza di qualche settimana penso che sia solo questione di tempo, di ragionamento, di rimettere insieme i pezzi, di ricomporre il quadro, di capire che quell'uomo non la meritava, che non era poi tutto 'sto granché di irresistibile e onesto e affidabile e trasparente e altruista e positivo e sano e sincero, che è lui e non lei ad aver perso qualcosa, una possibilità, forse LA possibilità...e lei rinascerà. 
Lo farà e le verrà più semplice di quanto pensi.
Per se stessa. 
E per chi conta su di lei e sta ancora crescendo.
E non sapete quanto ho riflettuto anche io. (Forse dovrei diminuire un po' l'empatia!)
Quanto ho imparato e capito.
E quanto mi sono sentita felice ed orgogliosa e responsabilizzata per essere stata scelta da lei come ascoltatrice e confidente.
Non sono poi così male, in fondo.

sabato 6 maggio 2017

Di auto, curve e vita



Quando soffrivo di attacchi di panico, guidare era diventato un supplizio.
A pensarci adesso mi sembra praticamente impossibile, ma era così.
Io senza la macchina mi sentirei persa, è per me una gran libertà. Mi è sempre piaciuto guidare, non mi ha mai fatto paura. La mia auto è un po' una estensione della casa: lì dentro leggo, mangio, mi limo le unghie, bevo, scrivo, realmente o nella mia testa (e in questo caso spesso poi si perde) pensieri, cose che mi colpiscono, cose da inviare poi sotto forma di messaggio a qualcuno, cose che mi succedono, stati d'animo che ho, telefono, parlo, mi confido, rido, piango...come protetta in un guscio...
Più di tutto in auto penso, mentre osservo la strada e il paesaggio che scorre a fianco...penso a chi sono, a come mi sento, a chi amo tanto ed è lontano e mi fa soffrire...e allora a volte mi dico, ecco, il primo benzinaio mi fermo, faccio il pieno di gasolio e parto, ci vado...e lo farei, se potessi...e chissà come sarebbe farmi tutta quella strada da sola...avrei paura?sarei coraggiosa? Io in genere sono più sicura di me quando sono sola, quando so che posso fare affidamento solo su me stessa. Bere o affogare.
So guidare io, che ché ne dica mio marito...sono prudente, ho occhio, sento tutti i più piccoli rumorini anomali che può fare la macchina, intuisco dove vogliono andare gli altri automobilisti, anche se non mettono la freccia, e quasi nessuno lo fa, sono abile nei parcheggi e mi destreggio bene nel traffico di città.
A volte, in particolari circostanze emotive, tendo ad avere il piede un po' pesante sull'acceleratore...credo mi abbia traviato il mio primo ragazzo...che però mi ha insegnato come affrontare bene una curva: dai gas appena inizi la curva, poi toglilo e a metà, quando senti che la forza centrifuga (dovrebbe essere lei!) tende a spingerti fuori, verso l'altra corsia, premi di nuovo sull'acceleratore e ti troverai all'uscita della curva, su un nuovo rettilineo...e lì...pesta!
Oggi mi sembra quasi una filosofia adatta ad affrontare le curve più affascinanti e pericolose e mozzafiato della vita...è ora di dare di nuovo gas per vincere la forza centrifuga...

domenica 23 aprile 2017

Di buchi e speranze


La situazione è sostanzialmente identica a quella di poche settimane fa e che raccontavo nel post precedente.
È aumentata la sofferenza mia...mi sento strana perché sto continuando la mia vita di sempre, faccio tutte le mie cose senza ansia, normalmente...ma dentro sono in ribollimento...un mix di sentimenti...impotenza, senso di inutilità, tristezza, sensi di colpa, paura di non fare abbastanza, disorientamento, solitudine, rabbia per lo spreco di tutto.
E dolore.
Questo in certi momenti è insopportabile, insistente. 
L'ho guardato a lungo e ho capito da dove viene.
È il dolore che scoppia quando capisci davvero che il tuo amore non basta, che tu stessa non sei uno stimolo sufficiente, una ragione valida per chi ami.
Ti senti persa, piccola, totalmente inutile e senza valore. 
Ti chiedi continuamente ma perché no? Perché io non posso bastare, non posso essere una ragione valida? Cosa mi manca? Cosa ho di sbagliato?
Ti si buca il cuore. 
E non si richiude più.
E hai l'impressione che tutto il tuo amore se ne vada via da quel buco.
Perduto.
Sprecato.
Irrimediabilmente.
Per sempre.
Ma la cosa sconvolgente è che si riforma, ne hai ancora, forse ancora di più. E lo senti che monta, che trabocca...che sgomita, che vuole uscire...
E questo tiene viva la speranza, anche contro ogni evidenza, che un giorno cambierà qualcosa. 
E quell'amore potrà essere utile. 
Usato. 
Amato.
E tu con lui.


lunedì 3 aprile 2017

La verità


Mia madre soffre di depressione da quando io avevo all'incirca vent'anni. Forse anche da prima ma io non lo avevo capito o forse non era poi così chiaro.
Sostanzialmente non si è curata, o meglio, iniziava, rallentava, faceva a modo suo, poi stava di nuovo male, tornava a farsi curare e così via.
Oggi che sono più vecchia e vedo le cose in prospettiva, so esattamente perché è successo.
Trovarcisi dentro è stato un casino perché i ruoli si sono come invertiti, la mia scala di priorità è saltata, i miei studi ne hanno risentito e ho iniziato a soffrire di disturbi di ansia e attacchi di panico. Che ho curato grazie ad una bravissima psicoterapeuta. I soldi meglio spesi della mia vita.
Ho lavorato molto su di me, anche in seguito, prima di avere Lorenzo, ho cercato di far emergere le mie inclinazioni, i desideri, le cose che mi facevano stare bene e trasformarli in realtà.
Ci sono riuscita.
Ma la sua malattia è rimasta...su e giù...
E con gli anni le cose sono peggiorate perché si sono aggiunte a essa altre patologie fisiche legate in parte allo scorrere del tempo, in parte no.
Anch'esse negate, trascurate, sottovalutate, non indagate fino in fondo.
Dalla scorsa estate la discesa è stata rapidissima e inarrestabile: mamma ha smesso di uscire, ha ridotto il cibo, limitato alcune terapie che seguiva da un po'.
Quando mio padre è stato operato, mamma è uscita con me più volte per andare all'ospedale. Ed è stata una sorta di impresa. Non so come abbiamo fatto.
Da quando lui è tornato a casa è stata necessaria una persona che stesse con loro la notte. E lo sarebbe stata anche se mio padre non fosse caduto, i tempi erano già maturi.
Da allora lei non è uscita più e nonostante tutti i tentativi, le attenzioni, gli incoraggiamenti, si è ulteriormente lasciata andare.
Io sono molto preoccupata perché il suo deperimento organico è davvero marcato e temo che un qualsiasi piccolo malessere possa scardinare irrimediabilmente l'equilibrio che il suo corpo sembra aver trovato...
Credo che sia stanca di vivere. Che non abbia più stimoli, motivi, ragioni per combattere.
Dal mio punto di vista, egoisticamente, come figlia, questo è devastante perché sento di non essere stata per lei un motivo, una ragione sufficiente.
So che da un punto di vista psicologico non è esattamente così, ma è così che mi sento io, priva da anni di mia madre, incapace di aiutarla perché sono lontana e anche quando vado da loro, sostanzialmente non vuole farsi aiutare. Lo rifiuta. Credo per pudore.
Ecco, questo è quello che sto vivendo in questo periodo...mentre il resto della mia vita va avanti come prima. Più o meno.
Sto reagendo meglio di quanto potessi aspettarmi. Sono sorpresa. E un po' combattuta fra il rallegrarmi con me stessa e l'aspettarmi la botta fra capo e collo.
Ho dentro un senso di malinconia, di perduto, di irrecuperabile, di finito.
Ed è strano provarlo in questa stagione nella quale tutto rinasce e sembra darti speranza o in giorni, come oggi, nei quali la ginecologa, durante la visita annuale ti dice che sì, gli anni passano e il tuo corpo si sta adattando, ma potresti tranquillamente mettere al mondo una nuova vita.
Mi si sono riempiti gli occhi di lacrime stamani...è stata una sensazione dolce amara che difficilmente scorderò.
Va così.
Ho raccontato perché non riesco a tenere neanche il semolino, sono una rana dalla bocca larga. 
E perché tenere dentro, per me è mentire. 
E mentire mi richiede una energia che ora ho, ma voglio riversare su altro.
Se a volte mi sentite triste e sconsolata è per questo.
Ringrazio tutte le persone amorose che mi stanno vicine, che mi capiscono senza che io dica niente, che mi ascoltano e mi fanno forza e mi trattano come sempre.
Grazie, il vostro amore non è vano. 
Sapete che ho fatto delle promesse a me stessa. E a mio figlio. E le manterrò.

giovedì 16 febbraio 2017

#tbt


Una foto, una valanga di ricordi. Mi ricordo tutto: era Aprile del 1989, gita scolastica della II liceo a Ercolano, Paestum e Capri. Quell'anno ogni classe doveva avere due genitori accompagnatori, uno fu la mia mamma. Avevo già visitato gli scavi a Pompei, ma Ercolano mi folgorò, la trovai elegante, raffinata, affascinante. 
E poi da lì si vedeva il mare. E questo di certo giocò un bel ruolo. 
Il nonno era reduce da un infarto che aveva sostanzialmente superato senza sapere che era in atto. Poi però ci furono l'ospedale e tutta una serie di restrizioni alimentari. Quelli erano i giorni in cui lui non riusciva ad accettarle e diceva, se non posso prendere caffè, vino, sale come voglio io, allora non li voglio per nulla. Lì scoprii che poteva essere caparbio come un bambino di tre anni.
Ricordo le mie tre meravigliose compagne di scuola, tutto il tempo trascorso gomito a gomito in quei giorni di gita, le notti tutte e quattro in un solo letto, il walkman col raddoppino per sentire in due sul pulmann la cassetta degli Eagles, la Lisa che la mattina ci metteva in fila tutte e tre sul letto e ci phonava i capelli con il phon che mia mamma si era portata dietro da casa. Ché non si può partire senza phon, sia mai.
Ricordo perfettamente quella luminosa giornata in cui la Bea scatto a me, la Lisa e la Mari questa foto: stavamo passando un po' di tempo sulla spiaggia di Santa Maria di Castellabate e io e le mie amiche già allora si andava in cerca di caffè. Si chiese il permesso alla professoressa Adriani che, sempre perfetta, e con quello stile tutto suo, ci disse: "Certo che potete andare. Però mi raccomando, bambine, non date confidenza agli sconosciuti." Forse ce lo disse perché a quell'ora non c'era in giro ombra di donna, solo maschi a chiacchierare in piccoli capannelli.
Ed ero innamorata allora, di quell'amore folle e assoluto e travolgente che all'improvviso non ti fa sentire più una bambina romantica, ma una donna. Ma una donna non sei...
Non stavamo insieme ma eravamo in un periodo di pausa fra una prima e una seconda e più lunga parte della nostra storia...
P.S. Adoravo quella camicetta che a pensarci ora...no, vabbè, vai a guarda' 'l capello...aehm, sorvoliamo sui capelli, per piacere!

sabato 4 febbraio 2017

Giorni così


 
Sono giorni un po' così. La terra in appennino, alle nostre spalle, continua a tremare e quando lo fa con più vigore, si sente anche qui. Noi per fortuna non abbiamo avvertito le ultime scosse, ma comunque ci sono state e io lo so...
Sentire la casa tremare, vedere gli oggetti muoversi è una sensazione orribile.
Esattamente come percepire la tua casa, il tuo rifugio, il luogo in cui ci si ritira sicuri, come un nemico, ostile, cupa, minacciosa, pericolosa.
So benissimo che questa ansia è niente rispetto alle sofferenze, alle difficoltà, alle limitazioni che devono affrontare ogni giorno da mesi decine e decine di persone nelle Marche, in Abruzzo, in Umbria e nel Lazio. Giusto ieri sera al tg3 Marche si diceva in un servizio che a San Severino Marche molte persone vivono ancora in roulotte e in tendoni riscaldati. E ci sono state giornate gelide, davvero gelide, a Gennaio.
Quindi lo so che non ho niente di cui lamentarmi, che ho tutto...ma quell'ansia di sentire dondolare non riesco a scrollarmela di dosso...o almeno, quando sto per riuscirci, si ricomincia da capo.
Forse questo succede anche perché sto vivendo un periodo tutt'altro che facile con l'aggravante della lontananza che mi impedisce di operare, di fare, di dare il mio contributo fattivo alla soluzione, o quanto meno, alla gestione di certi problemi.
Pensavo di essere abituata a sentire il mio cuore sparso, diviso, in varie parti del nostro paese e invece...abituata una cippalippa.
L'unico modo che conosco per tenere a bada tutto questo minestrone emozionale è fare, tenermi impegnata in casa e fuori, vedere persone, parlare, scambiare pensieri e sensazioni.
Lunedì andrò a casa, una delle mie case, e già sono in quella fase di oscillazione fra la gioia di partire e il rammarico di lasciare. Probabilmente non mi passerà mai, sarà sempre così.
E a esser sincera, non faccio neanche niente per reprimere quello che provo, i pensieri che mi si rincorrono in testa, i sentimenti che mi s'arrotolano e mi si srotolano in quello spazio, peraltro ridotto, viste le mie dimensioni, fra il cuore e lo stomaco.
Un attimo sorrido, mi sento piena di energie, di forza, di concentrazione, di spinta, l'attimo dopo mi ritrovo sull'orlo delle lacrime per delle sciocchezze fortuite, senza che mi succeda nulla di che.
Stamani è stata "colpa" della Gianna che in radio cantava Meravigliosa Creatura con tutte quelle sue consonanti e vocali pronunciate alla senese...che forse solo un toscano riesce a percepire...la sua voce ha evocato la forma, i colori, la luce della terra di Siena, li ha materializzati davanti ai miei occhi, quelli della mente, e con essi tutta una serie di emozioni e immagini e ricordi nettissimi del mio passato.
A volte vorrei davvero tornar bambina ma non per essere di nuovo piccola o giovane, no, ma per sentirmi come allora: protetta, amata, sicura, circondata in famiglia e fuori (scuola, parrocchia, amici, danza) da persone che non mi avrebbero mai lasciata sola e mi avrebbero aiutata ad affrontare e risolvere qualsiasi problema.
Ora tocca a me a fare, a contare solo sulle mie forze. (Dice ch'io sia adulta). Ma posso ancora attingere a quell'amore sconfinato e incondizionato che ho ricevuto in grande quantità.
Guardare il cielo mi aiuta a sentirlo.


giovedì 19 gennaio 2017

La mia torta, quella da fare a occhi chiusi

Ieri volevo scrivere qui la ricetta per questa torta...già, ieri...una giornata iniziata come tutte le altre e poi trasformata da quattro scosse di terremoto nettamente avvertite anche qui. Mi sono letteralmente fatta prendere dalla paura nonostante la distanza nota in soli dieci minuti dall'epicentro e la consapevolezza che i miei familiari stavano bene ed erano al sicuro.
Credo di aver reagito così perché sto attraversando un periodo difficile, fatto di preoccupazioni, dispiacere, rabbia, lontananza, sensi di colpa, incomprensioni e qualche discussioni di troppo. È come se quella paura istintiva, animale, che ti grida mettiti in salvo, mi avesse fatto mollare i freni che tenevo tirati e lo stress mi ha travolto.
Oggi, a palle ferme, ho guardato un po' di tv e ho ragionato: devo evitare che mi succeda ancora e tutto quello che ora mi riempie di incertezza e preoccupazione si potrà sistemare, ci sono altre e ben più gravi disgrazie.
Quindi ho pensato di ricominciare da dove mi sono fermata ieri, dallo scrivere e condividere questa ricetta che ho messo a punto qualche anno fa provandone svariate altre trovate in rete o sulle riviste di cucina, contaminandole, aggiungendo o sottraendo. So che per quanto riguarda i dolci le dosi devono essere precise, rigorose, ma questa ricetta funziona e non mi ha mai tradito.
Vi serviranno:
110 gr di zucchero, io vorrei di canna, ma gli altri miei coinquilini lo preferiscono bianco
2 uova medie
60 gr diburro
60 ml di latte
220/230 gr di farina 00
1/2 bustina di lievito per dolci
1 pizzico di sale
1 punta di bicarbonato di sodio
Latte qb.

Mentre mescolo lo zucchero con le uova, faccio sciogliere in un pentolino il burro nel latte. Poi lo aggiungo al composto ormai ben spumoso e amalgamo bene. A questo punto aggiungo la farina setacciata col lievito e il bicarbonato di sodio e un pizzico di sale. Quando si è incorporato bene il tutto decido se è il caso di aggiungere ancora del latte perché il composto deve essere morbido ma non liquida.
Questo mix può essere considerato la base per tanti dolci, muffin, plumcake, aggiungendo ad esso, secondo i nostri gusti e la nostra fantasia, frutta fresca, secca, cioccolata.
Io ho scelto di aggiungere della vaniglia e della cioccolata fondente spezzettata col coltello.
Ho trasferito il tutto in una teglia tonda rivestita di carta forno e cotto a 180° per circa mezz'ora.
Dopo aver cotto questa torta ho rifatto l'impasto e ho aggiunto un cucchiaino di cannella in polvere e un cucchiaino di mix di spezie, ovvero ancora cannella con noce moscata, anice stellato e chiodi di garofano, mele golden a pezzetti, uvetta bionda precedentemente ammollata e noci spezzettate e ho,infornato il tutto suddividendolo in una formina piccola da plumcake e in due di carta a forma di stella comprate sotto Natale.
Ah, dimenticavo di aggiungere che faccio questi dolci nella speranza di congelarne un po' da tirare fuori via via per le colazioni mie, nei giorni in cui poi vado in piscina, e per le merende a scuola di Lorenzo.
I dolci congelati mantengono tutte le loro caratteristiche, se poi avete la possibilità di dar loro una stiepidita post scongelamento, meglio ancora!!





sabato 14 gennaio 2017

Ancora di me


Il rapporto con mia mamma è complesso da anni, da quando ha iniziato a esserci un prima e un dopo, più meno quando frequentavo l'ultimo anno di liceo.
È stato terribile per me, come trovarsi in mare aperto nel mezzo di una gigantesca tempesta su un guscio di noce e senza avere la benché minima nozione di come si governi una barca, figuriamoci una bagnarola. Ci sono voluti un aiuto esterno ed espertissimo, momenti di disperazione assoluta in cui avrei voluto gettare la spugna, un enorme lavoro su di me e tanta, tanta fatica per fronteggiare il fortunale, tirare fuori la barca al meglio e rimetterla in assetto consentendole di navigare a vista, ma con una certa sicurezza.
Ancora oggi, pur avendo capito i perché e i per come, pur avendo sciolto dei nodi, continuo, forse perché mi sarei aspettata che certe soluzioni fossero trovate a tempo opportuno da altri, a sentire emozioni contrastanti: amore, affetto, dispiacere, pena, disillusione, rabbia, solitudine, impotenza, dolore, insofferenza, chiusura, pudore...
Da allora il lavoro su di me non è mai finito, a volte più fitto, altre più blando.
E col passare degli anni ho messo in fila tante cose, riuscendo a vederle in una diversa prospettiva, forse quella giusta, che in medias res non riuscivo a scorgere.
E ho capito.
E ho deciso.
Di guardarmi costantemente dentro, di leggermi, capirmi, prendermi cura della mia persona.
Per me stessa, naturalmente.
E per mio figlio.
Perché voglio che diventi un uomo sentendosi importante, considerato, ascoltato, protetto, contenuto, sostenuto, responsabilizzato via via.
Perché voglio che diventi uomo continuando a sentirsi figlio.

Non ho mai parlato di questi argomenti qui, nel blog e neanche sui social perché, come è facile intuire, sono cose che non riguardano solo me, ma anche altre persone.
Però ci sono dei momenti nella vita nei quali è importante e vitale parlare a voce alta, dire le cose, confrontarsi.
E questo sicuramente lo è.