venerdì 25 agosto 2017

Mamma

Quando mi sono trasferita qua, nelle Marche, ero molto consapevole. Convinta. L'ho fatto per amore e per tutta una serie di ragioni più prosaiche ma ugualmente importanti come il fatto che le case e la vita costassero molto meno qua che in città, che mio marito avesse un buon posto di lavoro che forse non sarebbe stato facile ritrovare da me in tempi brevi e alle stesse condizioni, che la sua professione si svolgesse in fabbrica, quindi in aree lontane da Firenze città con conseguenti scelte da fare (vivere in città e andare a lavorare nelle zone limitrofe o vivere fuori città, vicino  al lavoro, ma avere tutto il resto là dentro?)
Certo, non è stato facile lasciare la famiglia, la casa, le amiche di una vita, i miei luoghi, gli orizzonti e abituarsi a vivere tutto da un'altra parte.
Ma lo volevo ed ero sicura.
E tranquilla anche perché i miei genitori erano relativamente giovani, relativamente in salute e senza sostanziali problemi di natura economica.
Mai avrei pensato che ci saremmo ritrovati in questa situazione.



Ho già raccontato in un post cosa è successo, non starò a dire di più, un po' perché non riguarda direttamente e solo me e non voglio urtare la sensibilità di nessuno, un po' perché non è una situazione facile da raccontare, cioè da spiegare a qualcuno che ne è esterno, che non l'ha mai vista; può risultare eccessiva, poco credibile e forse anche un po' strana, perché mia madre non ha una di quelle malattie facilmente etichettabili e quindi comprensibili a chiunque...se avesse, per dire, avuto un infarto, la stragrande maggioranza delle persone che legge o mi ascolta raccontare, saprebbe inquadrare tutta la situazione da sé.
Ma se dico depressione, perché di questo si tratta, risulta molto più complicato spiegarsi bene ed essere compresi perché la maledetta purtroppo innesca tutta una serie di meccanismi che sono facilmente comprensibili solo per chi l'ha vissuta direttamente o di riflesso.
Non lo dico per spocchia, per senso di superiorità o perché "non puoi parlare di una cosa se non l'hai provata", ma perché mi è capitato tante volte di raccontare episodi, sintomi, vicende, comportamenti riguardanti mia madre a delle persone e ho visto sui loro visi una espressione di pura incredulità, di incapacità a figurarsi quanto stavo dicendo.
E so che è normale.
Di nuovo rispetto al post che ho scritto mesi fa, c'è che la situazione della mamma si è ulteriormente, progressivamente aggravata mentre quella logistica è rimasta invariata.
Dal mio punto di vista questo è sbagliato, insufficiente, un gran casino. Principalmente per loro che vivono una situazione molto, molto disagevole.
Abbiamo cercato di far cambiare loro idea, ma per tutta una serie di motivi, non ci siamo riusciti.
Io sono naturalmente preoccupata perché stanno per 12 ore al giorno completamente soli e credetemi, non sarebbe proprio più il caso.
Posso fare poco perché sono lontana e ho altri impedimentucci per cui non posso neanche essere lì quanto vorrei e, in certa misura, potrei esserci.
E poi provo un grande rabbioso dolore.
Perché non posso aiutarla in nessun modo e ho fatto veramente di tutto.
Perché sono anni che è come se io mia madre non ce l'avessi più, anche se c'è. È una sensazione terribile non poter parlare con lei, confidarsi, chiedere consiglio per affrontare, risolvere, superare un problema, grande o piccolo. Ora poi parlare è diventato impossibile perché la voce non le esce quasi più, quindi il telefono è escluso. E anche quando sono con lei e provo a parlarle mi sembra sempre persa in una sua dimensione e, se affronto un argomento più serio, come la sua salute, guarda fisso davanti a sé e piange lacrime silenziose...
Perché, come ho già detto, mia madre non ha mai trovato una motivazione valida, pungolante, per curarsi davvero. 
Io fino ad una certa età, non mi sono accorta di questo suo problema, probabilmente perché ero piccina e non lo vedevo, forse perché lei riusciva a gestirlo meglio ed era meno evidente.
Ma nell'ultimo anno, nel quale la situazione già particolare è precipitata, ho guardato indietro e ripercorso molto della nostra storia familiare; so da dove le nasce tutto questo. 
E so che purtroppo non ha mai trovato la forza, la motivazione giusta per curarsi.
Non lo siamo stati neanche noi figli. Come non lo è stato mio padre, o i nipoti, o la vita.
Lo so che non è un "dispetto " ad personam, ma da figlia, anche adulta, guardare indietro e sentire di non essere stata abbastanza, una molla sufficiente, un amore motivante per curarsi e stare meglio lei e tutti noi con lei, fa male, ti fa sentire piccina, senza importanza, una nullità, senza funzione, senza scopo.
E questo, a pensarci bene, può spiegare alcune fragilità, certe insicurezze che io ho praticamente da sempre.
E in tutto questo c'è la mia vita.
Non pensiate che io sia triste o che stia male tutto il giorno. Non è così. Io stessa a volte mi meraviglio perché faccio tutto quello che devo, vivo normalmente, mi sento bene, forte, tranquilla. Mentre mi sarei aspettata di entrare in ansia, in paranoia costante.
E invece no. E forse è un bene.
Ma il pensiero c'è.
Di aver fatto quello che potevo.
Senza smettere di proteggere me stessa.
E mio figlio, che un pomeriggio, quando andava alla medie, così, di punto in bianco, venne in cucina con un libro in mano per ripetermi un pezzo di orale, e mi disse: "Ma te, non diventi mica come la nonna, vero?"


Nessun commento:

Posta un commento