È stato terribile per me, come trovarsi in mare aperto nel mezzo di una gigantesca tempesta su un guscio di noce e senza avere la benché minima nozione di come si governi una barca, figuriamoci una bagnarola. Ci sono voluti un aiuto esterno ed espertissimo, momenti di disperazione assoluta in cui avrei voluto gettare la spugna, un enorme lavoro su di me e tanta, tanta fatica per fronteggiare il fortunale, tirare fuori la barca al meglio e rimetterla in assetto consentendole di navigare a vista, ma con una certa sicurezza.
Ancora oggi, pur avendo capito i perché e i per come, pur avendo sciolto dei nodi, continuo, forse perché mi sarei aspettata che certe soluzioni fossero trovate a tempo opportuno da altri, a sentire emozioni contrastanti: amore, affetto, dispiacere, pena, disillusione, rabbia, solitudine, impotenza, dolore, insofferenza, chiusura, pudore...
Da allora il lavoro su di me non è mai finito, a volte più fitto, altre più blando.
E col passare degli anni ho messo in fila tante cose, riuscendo a vederle in una diversa prospettiva, forse quella giusta, che in medias res non riuscivo a scorgere.
E ho capito.
E ho deciso.
Di guardarmi costantemente dentro, di leggermi, capirmi, prendermi cura della mia persona.
Per me stessa, naturalmente.
E per mio figlio.
Perché voglio che diventi un uomo sentendosi importante, considerato, ascoltato, protetto, contenuto, sostenuto, responsabilizzato via via.
Perché voglio che diventi uomo continuando a sentirsi figlio.
Non ho mai parlato di questi argomenti qui, nel blog e neanche sui social perché, come è facile intuire, sono cose che non riguardano solo me, ma anche altre persone.
Però ci sono dei momenti nella vita nei quali è importante e vitale parlare a voce alta, dire le cose, confrontarsi.
E questo sicuramente lo è.
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