Ad ogni modo, quando dal giugno del '94 ho iniziato ad andare a Jesi a fine settimana alterni e per periodi più lunghi sotto le feste di Natale e ad agosto, il marchigiano appariva ai miei orecchi come un monolite. Tutto quello che sentivo uscire dalle bocche dei locali per me era marchigiano. Negli anni che ho vissuto qua, e a maggio saranno 16, il mio orecchio si è affinato, ha imparato a percepire e riconoscere le tantissime sfumature linguistiche che esistono anche spostandosi di pochi chilometri. Oggi sono capace di dirvi con quasi assoluta certezza, se la persona che mi sta parlando viene da Fano, dove il marchigiano risente del romagnolo, o da Senigallia ( Tenaja de Senigaja) o da Falconara, o da Ancona o da qualcuno dei paesi qui, sulle colline, che già sono linguisticamente influenzati dal maceratese (il vampiru dell'Apiru).
Un universo di sfumature, di vocali, di consonanti che si trasformano, che vengono da storie lontane, da un misto di influenze di altre lingue (il romano, il francese etc.) legate ai popoli che hanno dominato questa terra meravigliosa.
Per quanto io ami profondamente e orgogliosamente la mia lingua, scelta per essere la lingua italiana, sono affascinata dallo jesino perché trovo che certe espressioni siano in grado di rendere molto bene l'idea della cosa di cui si sta parlando, di illustrarla in modo efficace fino quasi a trasformarla in una immagine.
Col tempo ho adottato anche io lo jesino, per integrarmi, penso, per sentirmi parte della mia terra adottiva, per far capire ai locali che li comprendo, che non sono totalmente straniera. Perché è la lingua che ha imparato mio figlio. Perché mi è venuto via via sempre più istintivo. Perché forse sono davvero portata per le lingue!!
In ogni caso però, quelli di qua lo sentono che non sono jesina, indigena, perché le mie "C" sono intrecciate saldamente alla doppia elica del mio DNA e mi smascherano sempre. Specialmente quando mi altero!
E al tempo stesso, per i fiorentini mi sono imbastardita, ho perso la purezza del mio accento.
Vabbè, son problemi. Grossi!!
Io son proprio contenta di sentirmi a mio agio con entrambe le lingue e di poterle usare a mio piacimento. Diciamo che le uso adeguandomi al luogo in cui mi trovo e alle persone con cui parlo o di cui parlo. Non sto qui ad elencare le differenze fra il fiorentino e lo jesino, sarebbe una lungagnata pazzesca e, a esser sincera non ne sarei neanche capace, ne dirò solo una: a Jesi, di fronte ai nomi femminili singolari, siano essi comuni o propri, non si mette mai l'articolo, ad esempio sono stato da nonna oppure domani vedrò Martina. All'inizio questa cosa mi faceva malissimo alle orecchie, era strana; col tempo ho iniziato a farlo anche io. In un modo particolare, di cui mi sono resa conto solo pochissimi giorni fa.
In linea di massima, se mi trovo qui, ometto l'articolo, se sono a Firenze lo uso.
E vi dirò di più, quando sono qui, se mi riferisco a donne "de Jesi" non uso l'articolo, se invece mi riferisco a fiorentine sì e lo stesso accade quando mi trovo a Firenze. Insomma, non dipende più dal dove mi trovo, ma di dove è la figura femminile di cui parlo. E il tutto avviene inconsciamente.
Una cosa credo che non riuscirò a fare mia e cioè l'uso della preposizione semplice in davanti alla parola Ancona. Difficilmente mi uscirà di bocca un "sono stata in Ancona".
Non sarò mai una jesina!!! Sarò sempre un misto!!!
Ogni dialetto e inflessione ha la sua bellezza ed in ogni Regione le differenze sono molte. Qui per esempio ci sono comuni in cui il dialetto è così diverso dall'umbro che pare proprio un'altra lingua e non sempre è di facile comprensione
RispondiEliminaE' un mondo affascinante!!
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